Gay & Bisex
Filosofia della carne 1

07.05.2025 |
1.136 |
6
"
Il primo a comparire fu Andrea..."
Un professore in fuga da se stesso. Un ragazzo che odora di sudore e rabbia. Un'estate che sa di fine, nel cuore muto del sud. Quando l’anima non basta più, resta il corpo. E il corpo, a volte, dice tutto.Il Cilento a settembre aveva il respiro lento delle cose che stanno per svanire. Il vento arrivava dalla collina, carico di erba secca e promesse mancate. Le cicale tacevano ormai, e il mare restava lì, scuro e fermo, a guardare come un dio stanco. Giò era arrivato da tre giorni, con una valigia, cinque libri e nessuna speranza. Aveva affittato una casa poco sopra Marina di Camerota, nella frazione alta, dove i vecchi giocavano a carte all’ombra e le donne facevano ancora la salsa in cortile. Era venuto per scrivere, o così si diceva. Ma non aveva scritto una riga. Si limitava a guardare il mare da quella terrazza coi gerani secchi e le imposte blu scolorite. Aveva quarantadue anni e una faccia che iniziava appena a rompersi agli angoli. Era bello, ma di quella bellezza pensosa che sa di stanze vuote. In città insegnava filosofia antica, viveva in un appartamento pieno di libri, e non toccava un uomo da quasi un anno. Il primo a comparire fu Andrea. Lo vide dal terrazzo, un pomeriggio. Il ragazzo saliva con un secchio d’acqua, si toglieva la maglietta e sciacquava le scale della locanda sotto casa sua. Aveva il corpo duro, affusolato, da contadino e da bestia giovane. I fianchi stretti, il culo sodo sotto una tuta da lavoro tagliata al ginocchio. Il sole gli colava addosso come miele. Giò si ritrovò a guardarlo. A studiarlo come si fa con un testo difficile: col desiderio di capirlo fino in fondo, di entrarci dentro. Andrea alzò lo sguardo e lo sorprese. Sorrise appena. Poi, senza dire nulla, tornò a strofinare le scale con rabbia lenta. La sera stessa bussò alla porta. — Buonasera, professore. Mio padre mi ha detto che alloggia qui. Le serve qualcosa? Giò si fece da parte. — Vieni. Ho del vino. Andrea entrò. Aveva l’odore dolce della pelle scottata. Si sedette con disinvoltura, si rollò una sigaretta. — Lo sai che mi guardavi prima? — disse, senza ironia. Giò non rispose. — Anche a me capita. Quando uno mi piace. Lo fisso. Non so se è una malattia, o solo fame. Bevvero in silenzio. Andrea parlava poco, ma con una voce ruvida, piena di vita. Aveva venticinque anni. Aveva fatto il manovale, poi il cameriere, ora aiutava i genitori con l’orto e la pensione. — Ma io non voglio restare qui. Qui si marcisce. Giò gli versò altro vino. — E dove vorresti andare? Andrea lo guardò dritto, lento. — Forse dentro qualcuno. Passarono due giorni. Andrea tornava ogni sera. A volte portava i pomodori, altre un libro preso in prestito dalla biblioteca scolastica. Era curioso. Leggeva male, ma con furia. Chiedeva di Epicuro, del corpo, dell’anima. Ma quando Giò parlava troppo, lo zittiva con uno sguardo. La terza sera, era umido e buio. I due erano seduti nella cucina. Il ventilatore muoveva appena l’aria. Andrea si alzò. Prese una bottiglia. Ne bevve un sorso, poi si avvicinò a Giò. Gli sedette sulle ginocchia senza dire una parola. Il suo cazzo già duro si premeva contro il ventre di Giò. Lo baciò come se lo odiasse. — Hai voglia, eh? Giò lo prese per i fianchi. Andrea lo spingeva, lo strofinava, gli leccava il collo con la lingua lenta e sporca. — Fammi vedere se sotto tutta quella filosofia c’hai ancora le palle — sussurrò. Lo spogliò piano. Gli sbottonò la camicia come un’offerta sacra. Gli succhiò i capezzoli finché non lo sentì tremare. Poi lo spinse giù, gli tolse i pantaloni e lo guardò. — Sei proprio come ti immaginavo: duro, ma triste. Andrea si mise in ginocchio. Gli prese il cazzo tra le mani, glielo leccò con lentezza da tortura. Lo infilò in bocca e lo lavorò profondo, senza pietà, con occhi fissi e lingua che faceva male. Giò gemeva, sussurrava frasi in greco, senza accorgersene. Andrea si alzò, si tirò giù i pantaloni. — Fammi tuo. Ma non come a uno studente. Come a uno che vuoi rovinare. Si piegò sul tavolo. Il culo sodo, aperto, perfetto. Giò lo leccò a lungo, con fame. Gli infilò due dita, poi la lingua. Andrea ansimava, si mordeva la mano, gemeva piano. — Scopami, dai… ti prego… voglio sentirmi spezzare… Giò lo penetrò con forza, con rabbia. Lo prese in piedi, poi lo buttò a terra e lo prese ancora. Andrea gemeva, si dimenava, si veniva in mano, gli leccava la bocca sporca, lo implorava. — Vienimi dentro… vienimi dentro, cazzo, fammi tua cosa, tua ferita… Giò venne tremando, abbracciato al suo collo, mentre Andrea rideva piano, sfinito, con le lacrime agli occhi. Rimasero nudi sul pavimento. Il ventilatore girava ancora, inutile. — È una cosa da non rifare più, vero? — disse Andrea. Giò lo guardò. Gli accarezzò la schiena. — È una cosa che non ci lascerà mai più.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Commenti per Filosofia della carne 1 :
